Oltre il termine “esperienza”: verso una nuova grammatica del turismo

Esperienza è il termine più abusato del turismo contemporaneo.

Oggi tutto è esperienza. Dalla passeggiata tra i filari al “weekend in botte + tagliere tipico + degustazione vini”, dalla notte in B&B con cestino di benvenuto alla caccia al tesoro in centro storico con gadget finale, ogni proposta oggi viene comunicata automaticamente come “esperienziale”.

Ma se tutto è esperienza, niente lo è davvero.

Il termine ha perso potere descrittivo e progettuale.

È diventato una formula rassicurante, più utile a vendere che a capire.

E rischia di appiattire la visione di territori che invece avrebbero molto da dire.

Il problema non è la parola, ma la confusione che genera

Nel lessico del turismo, “esperienza” è diventata una parola-totem.

Viene usata ovunque: nei bandi, nei cataloghi, nelle strategie di prodotto.

Ma raramente ci si ferma a definire che tipo di esperienza si intende, con quale scopo, e con quale impatto previsto.

Così si progettano attività simpatiche, ben confezionate, magari efficaci a livello promozionale… ma spesso senza una vera regia progettuale, senza una funzione sistemica, senza profondità.

Non tutte le esperienze sono uguali

Un laboratorio di cucina può essere:

  • un’attività accessoria per turisti generici
  • un dispositivo di storytelling gastronomico
  • un rituale identitario condiviso da una comunità
  • un momento trasformativo in un percorso lento

Non è il singolo “format” a fare la differenza, ma la visione progettuale che guida l’intero sistema dell’esperienza e la relazione significativa che si attiva con chi partecipa.

Chi progetta per territori e comunità deve saper riconoscere che non tutte le esperienze attivano lo stesso tipo di coinvolgimento o significato. Alcune divertono, altre raccontano, altre ancora fanno riflettere o lasciano qualcosa di più profondo.

Capire questa differenza è il primo passo per progettare con consapevolezza.

Questo non è un dettaglio semantico. È il cuore del design dell’offerta turistica. E incide direttamente su cosa lasciamo ai visitatori e cosa costruiamo per i territori.

L’esperienza come leva strategica (o come buzzword vuota)

Un’esperienza ben progettata:

  • attiva senso e valore, non solo emozione
  • è inserita in un ecosistema coerente, non è un evento isolato
  • genera relazioni durature, non solo soddisfazione immediata
  • rafforza l’identità del territorio, non la diluisce

Ma tutto questo richiede metodo. Serve un’intenzionalità progettuale, non un’estetica “esperienziale” superficiale.

In sintesi

  • L’esperienza non è un format. È una struttura di senso.
  • Non tutte le esperienze sono uguali. Alcune parlano, altre solo intrattengono.
  • Un turismo che crea valore sa distinguere, progettare, orchestrare le esperienze.

Chi lavora con i territori oggi ha una sfida: uscire dall’effetto-vetrina e costruire valore esperienziale autentico, riconoscibile, sostenibile.

Per chi progetta turismo oggi

È il momento di superare la retorica dell’esperienza indistinta e sviluppare una grammatica nuova.

Una grammatica che sappia distinguere, scegliere, articolare.

Una grammatica che non serva solo per attrarre visitatori, ma per dare profondità ai territori.

2 commenti
  1. Maria Ximena Arias Matteucci
    Maria Ximena Arias Matteucci dice:

    Gentile Andrea Rossi; mi trovo perfettamente d’accordo con ciò che scrive.
    La parola “esperienza” ormai non rispecchia più il suo significato ed è un peccato.
    L’esperienza “vera” non passa attraverso nomi conosciuti, luoghi inflazionati, o tempi ristretti.
    Per proporre qualcosa di autentico, prima bisogna aver provato sulla propria pelle; bisogna stringere mani, fare conoscenza, parlare e chiedere il permesso di poter entrare nelle comunità.
    L’Esperienza è una serie di circostanze, collegate, diverse, vere, lontane dallo standard. E non si vive secondo schemi pre-costituiti.
    Ma Esperienza è anche “cultura”: chi propone esperienze, deve avere e deve fare cultura, affinché il cliente capisca il valore di ciò che andrà a fare, perché il “valore” non lo troverà sui Social.
    Io sto cercando di promuovere la zona della Tuscia.

    Rispondi
    • Andrea
      Andrea dice:

      Grazie Maria per queste parole così sentite.
      Ritrovo nella tua riflessione molti elementi fondamentali: il valore della presenza, dell’ascolto, del rispetto delle comunità.
      Hai colto un punto chiave: l’esperienza non è un format da replicare, ma una relazione da costruire.
      Condivido anche l’idea che chi propone esperienze debba “fare cultura”.
      È proprio da lì che può nascere un cambiamento autentico, capace di spostare il focus dal consumo al significato.
      Il tuo impegno per la Tuscia è prezioso.
      Tienimi aggiornato su come si sviluppa il progetto, è un territorio ricco di potenziale e storie ancora da far emergere.

      Rispondi

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *